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Porto Santo Stefano da ricordare

Buongiorno!

Santostefanesi e petroliere

 

A Porto Santo Stefano, da quando fu realizzato, negli anni '30, il Deposito Carburanti dell'Aeronautica Militare, e fino alla sua chiusura nell'aprile del 2016, le petroliere sono state una presenza familiare. Venivano periodicamente a fare il pieno ai "pozzi" del Campone.

Una petroliera attraccata al molo di levante

Fino agli anni '60 o giù di lì entravano direttamente nel porto e per un giorno o due erano dei "nostri", tra i pescherecci e le barche dei pescatori ormeggiate alle banchine.

Allora non erano quei “mostri del mare” che oggi varcano gli oceani trasportando grezzo da un continente all'altro per mandare avanti il mondo. Le nostre erano molto più modeste, talvolta poco più che bettoline o vecchie ciabatte sopravvissute alla guerra.

Ne arrivava una ogni tanto. Sbucava lemme lemme da Punta Madonnina e nemmeno avesse fatto qualche migliaio di miglia si stravaccava all'ancora al largo del porto del Valle, in attesa.

Dopo un giorno o due, con comodo, arrivava finalmente all'appuntamento un rimorchiatore che dopo i convenevoli e le operazioni di rito l'accompagnava in porto, tra la preoccupazione dei pescherecci ed altre imbarcazioni che si tenevano prudentemente alla larga e la curiosità festaiola dei ragazzetti che osservavano dalle banchine.

Qui con infinita pazienza la nave, aiutata dal solerte compagno, si girava di poppa e andava ad attraccarsi al “terminal” sul molo.

Il porto del Valle con, a destra, il pontile dell'Aeronautica

Il terminal in questione - "pontile dell'aeronautica" per i paesani - era in realtà un fazzoletto di molo, situato dove adesso attraccano i traghetti per le isole, cintato da una rete metallica con un cartello severamente ammonente: “Zona militare – Divieto di accesso”.

Al centro, un casotto in legno ospitava gli apparati di comando e comunicazione, ossia qualche rubinetto ed un telefono. E un po' di cianfrusaglie tecnico-marinaresche.

Dal fazzoletto, lato mare, un robusto tubo flessibile, quasi una proboscide, scendeva in acqua e sostenuto in superficie da coppie di fusti, sigillati e tinti di rosso, si inoltrava per una ventina di metri verso il centro del porto. Una boa all'estremità lo manteneva in posizione. A quello la petroliera, una volta ormeggiata, si collegava per liberarsi del contenuto delle sue cisterne verso i "pozzi" del Deposito del Campone.

Poi cominciavano le operazioni di pompaggio che potevano durare un giorno o due.

Una petroliera insolitamente grande attraccata al pontile

E per tutto questo tempo il rimorchiatore se ne stava lì, davanti alla petroliera e saldamente collegato ad essa con delle gomene, pronto a strapparla via dagli ormeggi verso il mare aperto caso mai qualcosa non andasse per il giusto verso.

E su tutti e due, immobili nel loro angolo di porto, calava il silenzio appena scalfito dal ronzio delle pompe, mentre intorno i pescatori andavano su e giù sui loro gozzi, i ragazzetti, d'estate, sguazzavano con le loro barchette incatramate, e sul molo qualche pescatore cercava una preda che tardava ad arrivare, o rammendava le reti.

Parcheggiato accanto al pontile un mezzo antincendio vegliava con discrezione, pronto a intervenire eroicamente caso mai fosse andato a fuoco il paese.

Poi una mattina ti alzavi e non trovavi più né la petroliera, né il rimorchiatore né il mezzo antincendio. Solo un gran vuoto. Ci rimanevi quasi male. Il porto sembrava più grande.

..........

Le tenebre sono sempre state restie ad accogliere la luce. Ma dopo molti anni un barlume brillò nella mente di chi poteva. Effettivamente, come i soliti mugugnatori rompiscatole andavano dicendo da un pezzo, la presenza nel porto di una petroliera impegnata in quel genere di operazioni era un po' pericolosa per gli altri natanti e per gli indigeni nelle loro case.

E siccome Porto Santo Stefano aveva già dato, come si suol dire, in tempo di guerra, verso la metà degli anni '60 fu deciso di spostare il terminal sulla diga di levante, trecento metri più in là, affinchè la petroliera potesse scaricare il suo pericoloso fardello rimanendo all'esterno del porto, carbonizzando tutt'al più, in caso di incidente, panfili e imbarcazioni ormeggiati dall'altra parte della diga e qualche villa nei paraggi.

Non furono molte le petroliere che attraccarono a quel molo. Quasi non gradissero quell'accoglienza si diradarono rapidamente nel tempo fino a non venire più del tutto negli ultimi anni.

 

Adesso il glorioso  64° Deposito Territoriale A.M. di Porto Santo Stefano non esiste piu.

Le petroliere se ne vanno altrove.

 

Una storia triste

Nota. La fonte dell'episodio descritto è il sito web vibomarina.eu. In esso viene citato un ragazzo di 17 anni, "...nato a Porto Santo Stefano, provincia di Grosseto".

La precisazione (23.2.13) del sign Pietro Gozzo aggiunge altri particolari:

" ...Ido Borelli era santostefanese ed abitava su per il Campone . Il cognome é di origini bolognesi.

Il padre era originario di quei posti, approdato all'Argentario come il mio papà che ha portato il suo da Verona . La mamma era di Santo Stefano. Era una Sturmann, ed aveva una sorella che ho visto ultimamente . Con Ido ho studiato all'Enem e ci siamo diplomati motoristi nel '62. In seguito abbiamo lavorato insieme nell'officina di Massimi & Fantaccini che era in via Cuniberti , o più precisamente io presi il suo posto perché lui aveva trovato un imbarco da allievo su una motonave. In seguito ho saputo che era una petroliera che si chiamava Soreghina . Ido era più grande di me di uno o due anni . La sua tomba da qualche anno non c'è più. Era, entrando dalla prima porta del cimitero, sul vialone centrale verso il paese ed era la seconda o la terza a monte... "

I santostefanesi non sono mai stati un popolo di poeti. Nemmeno di santi. Ma di navigatori, o meglio di naviganti, quello si. E non sarebbe potuto essere diversamente per gente che la salsedine ce l'aveva nel sangue.

Ido, questo era il suo nome, come molti in paese, a quei tempi, aveva scelto la "via del mare".

"Meglio una petroliera che un peschereccio. - diceva -  Su quella guadagni di più, puoi fare carriera e vedere un po' di mondo".

Soreghina era una fanciulla in una leggenda della Val di Fassa che traeva dal sole la forza e la gioia di vivere.

Quando questo tramontava dietro i monti della sua valle o quando le nubi lo oscuravano lei sprofondava in un sonno profondo come la morte. Una veggente le aveva predetto che una notte, per amore, da quel sonno non si sarebbe più risvegliata. Così avvenne.

Ma Soreghina era anche il nome di una petroliera. E su quella Ido Borelli un giorno s'imbarcò.

A 17 anni sulle navi si comincia sempre dalla ramazza. Ido si imbarcò come mozzo.

Era il 19 0ttobre del 1962.

La Soreghina, era attraccata al molo Tripoli di Vibo Marina, in Calabria. Verso le 15 il boato di una forte esplosione squassò il porto e il paese. Subito dopo fiamme si levarono da bordo della petroliera.

Seguirono momenti di concitazione e grande confusione: mentre la gente delle case più vicine cercava rifugio sulle colline retrostanti il paese, nel porto molti coraggiosi cercavano di sganciare la Soreghina dagli ormeggi e rimorchiarla con un peschereccio in mare aperto.

Ci riuscirono solo a tarda sera. La Soreghina fu  lasciata affondare in preda alle fiamme.

Solo al calar della notte fu possibile avere un quadro preciso della situazione: tre membri dell'equipaggio erano morti nell'incidente. Tra essi Ido Borelli.

Il suo corpo fu estratto dallo scafo sommerso solo dopo qualche giorno.

Era il suo primo imbarco. Tornò al suo paese in un treno merci, accolto dalla commozione dei suoi compaesani e dal dolore dei familiari.

A Vibo Marina, sul molo, in prossimità del luogo dell'incidente, una lapide inviata dai genitori del ragazzo ne ricorda il sacrificio:

 
 
IN QUESTE LIMPIDE ACQUE
SI SPENSE TRAGICAMENTE
NELLO SCOPPIO DELLA  SOREGHINA
IDO BORELLI DI ANNI 17 DA P.S. STEFANO
AD ETERNA MEMORIA
E IN GRATITUDINE DELLA GENEROSA CARITA’
DEL POPOLO DI VIBO MARINA
PRODIGATOSI NELL’OPERA DI SOCCORSO
I GENITORI Q. M. P.

 

Nota. La fonte dell'episodio descritto è il sito web vibomarina.eu. In esso viene citato un ragazzo di 17 anni, "...nato a Porto Santo Stefano, provincia di Grosseto".

La precisazione (23.2.13) del sign Pietro Gozzo aggiunge altri particolari:

" ...Ido Borelli era santostefanese ed abitava su per il Campone . Il cognome é di origini bolognesi.

Il padre era originario di quei posti, approdato all'Argentario come il mio papà che ha portato il suo da Verona . La mamma era di Santo Stefano. Era una Sturmann, ed aveva una sorella che ho visto ultimamente . Con Ido ho studiato all'Enem e ci siamo diplomati motoristi nel '62. In seguito abbiamo lavorato insieme nell'officina di Massimi & Fantaccini che era in via Cuniberti , o più precisamente io presi il suo posto perché lui aveva trovato un imbarco da allievo su una motonave. In seguito ho saputo che era una petroliera che si chiamava Soreghina . Ido era più grande di me di uno o due anni . La sua tomba da qualche anno non c'è più. Era, entrando dalla prima porta del cimitero, sul vialone centrale verso il paese ed era la seconda o la terza a monte... "

 

2008 - Capodomo - di Raul Cristoforetti